«Vigoroso e delicato, aristocratico e fine sempre»: l’illustrazione magica di Vsevolod Nikulin, un ucraino innamorato dell’Italia

Nel dicembre 1920, sbarca a Genova un misterioso ed affascinante pittore ucraino: viene da Odessa, ed è in fuga dai bolscevichi. Di lì a poco, innamorato del Bel Paese e della sua gente, diventerà uno degli illustratori più richiesti d’Italia…

La splendida illustrazione realizzata da Nicoùline per la copertina del libro per ragazzi “La città d’oro”, di Mary Tibaldi Chiesa (Cibelli, ca. 1950): dettaglio e leggerezza, oltre ad un costante richiamo al decorativismo russo, furono una costante di tutta l’opera dell’artista slavo.

«Ideale artistico del Nicoùline potrebbe dunque definirsi: “… desiderio di vedere attraverso la verità delle cose”, ideale realizzato fra la gioia della intensa vita di lavoro a Nervi – vivendo sereno il suo sogno che gli rende bella la vita – sogno realizzato nella convivenza della sua donna e della grandiosa bellezza italica che lo circonda e favorisce nelle sue molteplici manifestazioni il temperamento artistico di questo russo, artista vigoroso e delicato, aristocratico e fine sempre.»

 

(Virginia Marini Lodola, Artisti contemporanei: Vsevolode Nicoùline, «Emporium», XXXIX/2, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1933, p. 75)

Vsevolode Nicoùline era un artista ispirato: passava ore ed ore con il pennello in mano, nel suo studio inondato di luce sulla costiera ligure, a dipingere scene di vergini, santi ed eroi che sembravano uscire da un mondo incantato. Accolta da Aida, una donna bella e dai modi raffinati, circondata da pezzi d’arredo disegnati dal padrone di casa, immersa nell’aria pregna di ottimo caffè, la pittrice e scrittrice torinese Virginia Marini Lodola, nel febbraio del 1933, ebbe l’occasione di conoscere di persona quell’uomo affascinante, che, giunto in Italia da pochi anni, in brevissimo tempo era riuscito a farsi strada, imponendosi come una delle personalità più originali dell’illustrazione dello Stivale. Dietro di lui, e dietro la moglie Aida, una storia incredibile di amore e coraggio, una vera odissea, cominciata, forse non a caso, proprio ad Odessa, quattordici inverni prima.

Prima Nikolaev poi Odessa,
a scuola di italianità

In realtà, le primissime pagine della storia del nostro protagonista si svolsero a Nikolaev, alla foce del fiume Bug, nel sud di un’Ucraina ancora parte del vastissimo Impero russo. È là, infatti, nella città-arsenale fondata nel tardo Settecento dal principe Grigorij Potëmkin (cui, sul finire dell’Ottocento, sarebbe stata dedicata una famosa corazzata, protagonista di una storica pellicola di propaganda del regista sovietico Sergej Ėjzenštejn), che Vsevolod Petrovič Nikulin nacque, il 27 novembre 1890.

Sopra: i grandi cantieri navali di Nikolaev, sul fiume Bug, in una cartolina postale colorizzata di fine Ottocento. Importante centro cantieristico, a lungo sede del comando della Flotta russa del Mar Nero – prima del suo trasferimento a Sebastopoli -, nel corso del XIX secolo, la città divenne anche il principale porto zarista per l’esportazione del grano ucraino.

Sopra: Odessa – una bella veduta della centralissima via Deribas (Deribasovskaja ulica), così nominata in omaggio al fondatore della città, che vi possedeva una casa. Lo scatto in bianco e nero è tratto da una cartolina del 1913. Sotto: Odessa, primissimi del Novecento – la leggendaria Scalinata Potëmkin, scenografico collegamento pedonale fra la città e il porto, progetto dell’architetto ticinese Francesco Boffo. Costruita fra 1837 e 1841, la struttura, posta al termine di boulevard Nikolaevskij, ha una lunghezza di 142 metri e copre un dislivello di 27: per un particolare effetto ottico, tuttavia, appare ancora più lunga e più alta del reale. La funicolare visibile in foto, sulla sinistra, fu affiancata alla scalinata nel 1906, e sarebbe rimasta in funzione fino al 1970, quando, ormai obsoleta, sarebbe stata sostituita da un ascensore. La leggendaria fama della gradinata si deve, soprattutto, al suo utilizzo come set per la storica scena dell’attacco dei cosacchi alla folla inerme de La corazzata Potëmkin (1925), celebre colossal di propaganda di Sergej Ėjzenštejn dedicato ai moti rivoluzionari russi del 1905.

Figlio di un pope ortodosso, che contribuì senz’altro a coltivarne la spiritualità, tentando, in un primo momento, perfino di avviarlo alla vita religiosa, rivelò fin da piccolo promettenti doti artistiche e volle iscriversi all’Accademia di Belle Arti della vicina Odessa. Vero e proprio crogiolo di genti provenienti da tutto il Mediterraneo, la fiorente metropoli ucraina poteva vantare al tempo una consistente comunità italiana, particolarmente attiva nella cultura, nell’alimentazione e nel commercio. Italiano, nel 1794, era stato il fondatore della città, il nobile napoletano José de Ribas, al servizio di Caterina la Grande, che, sconfitto l’Impero ottomano, era riuscito a convincere la zarina dell’utilità di un grande porto sul Mar Nero, libero dai ghiacci del nord, come italiani erano stati pure il progettista del Teatro di Odessa, il napoletano Francesco Frapolli, e l’architetto del Municipio cittadino, nonché della ben nota Scalinata Potëmikn (resa celebre dalla scena del film di Ėjzenštejn), il ticinese Francesco Boffo: se consideriamo che, sempre a Odessa, nel 1898, il compositore partenopeo Eduardo di Capua dette alla luce ‘O sole mio, non c’è da stupirsi, che la più italiana delle città russe fosse soprannominata la “Napoli del Mar Nero”.

E fu grazie a due professori italiani, gli scultori Luigi Jorini e Giuseppe Mormone – che, dato il suo fisico statuario, avevano preso ad utilizzarlo come modello all’Accademia -, che il giovane Vsevolod imparò a tenere matita e pennello in mano.

Accademia, guerra e rivoluzione

Entusiasta della sua vocazione, negli anni di Odessa, Nikulin ebbe modo di sviluppare le sue doti espressive, apprendendo nuove tecniche e consolidando quella predilezione per soggetti mitologici e fantastici che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Autore prolifico fin dalla giovane età, durante i primi anni Dieci, collaborò con le riviste satiriche odessite «Bomba» e «Krokodil», prendendo parte alle sue prime esposizioni collettive: è il caso del Secondo Salone Internazionale Izdebskij del 1911, importante vetrina d’avanguardia, dove ebbe modo di conoscere, fra gli altri, Vasilij Kandinskij, Natalija Gončarova e Michail Larionov – gli ultimi due, peraltro, di lì a qualche anno, si sarebbero ritrovati in Italia proprio come lui. Ottenuto il diploma, Vsevolod decise di proseguire gli studi nella capitale, a Pietrogrado, presso l’Accademia Imperiale di Belle Arti: la Grande Guerra, tuttavia, ne interruppe bruscamente la formazione, costringendolo al servizio di leva nel 1916.

Sopra: copertina illustrata del numero del 23 aprile 1911 del settimanale satirico «Krokodil”», dedicata alle imprese del celebre aviatore e recordman ucraino Sergej Isaevič Utočkin (1876-1916). Da non confondersi con l’omonimo foglio moscovita, stampato dal 1922 al 2008, a lungo unica pubblicazione satirica autorizzata in URSS, il «Krokodil”» odessita fu attivo solamente nel biennio 1911-1912, ma, nonostante la breve esistenza, riuscì a produrre contenuti di notevole qualità. («Krokodil”», I/4, Tipografija Grinberg”, Odessa 1911, p. 1)

Sopra: San Pietroburgo, anni ’10 – l’imponente mole neoclassica dell’Accademia Imperiale di Belle Arti, sull’isola Vasil’evskij, edificata fra 1764 e 1789 su progetto di Jean-Baptiste-Michel Vallin de La Mothe ed Aleksandr F. Kokorinov. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, l’istituto avrebbe cambiato nome più volte, e, nel 1947, sarebbe stato definitivamente trasferito a Mosca, con le sue storiche collezioni d’arte unite a quelle dell’Hermitage. Sotto: crudo manifesto di propaganda antibolscevico del 1918, che mostra soldati dell’Armata Rossa razziare un villaggio nemico. In calce alla scena, la didascalia recita: «Ecco come i bolscevichi si sentono a casa nei villaggi cosacchi.»

Allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre, nel caos in cui precipitò l’Impero russo, l’artista fece la propria scelta, arruolandosi nelle fila dell’Armata Bianca controrivoluzionaria. Nei mesi di incertezza e violenza che seguirono, riguardo ai quali le fonti risultano particolarmente scarse, sappiamo che Vsevolod s’impegnò con ardimento nella difesa dell’Ucraina dall’Armata Rossa, e che, quando i bolscevichi, alla fine, prevalsero, entrando a Kiev, rischiò pure la fucilazione: si salvò travestendosi da contadino e nascondendosi nelle campagne. Lasciata la metropoli, fece ritorno ad Odessa, ancora protetta da unità della flotta francese: fu in quei giorni, che Nikulin perse le tracce della moglie e della figlia, di cui non sappiamo praticamente niente, ma che, fino a quel momento, avevano condiviso con lui spostamenti e privazioni. Nella città della sua giovinezza, conobbe però la figlia di un diplomatico italiano distaccato in Russia, la contessa Aida Bossalini, e se ne innamorò: già madre di Kalyssa, frutto di un precedente matrimonio con un insegnante italiano, la nobildonna sarebbe di lì a poco divenuta sua moglie, affiancando il pittore nelle burrascose prove che lo attendevano. 

Nel dicembre 1919, quando le forze bolsceviche raggiunsero anche Odessa, Vsevolod, Aida e Kalyssa decisero di lasciarsi definitivamente alle spalle l’Ucraina e la guerra civile, e s’imbarcarono per Istanbul.

Sopra: Odessa, 1919 – dopo l’evacuazione delle truppe francesi, che avevano tenuto sotto occupazione la città per diversi mesi in funzione antibolscevica, l’Armata Rossa entra in città. In realtà, le forze comuniste sarebbero state ricacciate presto da un’efficace offensiva dell’esercito bianco, e sarebbero riuscite a prendere stabilmente la città ucraina soltanto l’anno successivo.

1920: l’approdo in Italia ed
i primi riconoscimenti artistici

Per Vsevolod e famiglia, i mesi a Costantinopoli non furono affatto facili: mentre dalla patria arrivavano di continuo notizie di stragi e devastazioni, per mantenere la famiglia, il giovane artista dovette adattarsi a svolgere lavori di ogni tipo, prestandosi come scaricatore di porto e custode di chiatte. Grazie all’intermediazione di Aida, nel 1920 il gruppo riuscì finalmente ad ottenere i documenti per l’espatrio in Italia: dopo un viaggio fortunoso, nel dicembre dello stesso anno, i tre poterono finalmente approdare a Genova. Tentando di ricostruirsi una vita, nel 1921, Nikulin – che presto iniziò a firmarsi Nicoùline o, semplicemente, Nicùlin – iniziò a posare come modello per l’Accademia Ligustica del capoluogo ligure, della quale, in seguito, sarebbe divenuto anche allievo. 

Sopra: Italia, primi anni Venti – Vsevolod Nicoùline con la moglie Aida e la figliastra Kalyssa. Frutto del precedente matrimonio della nobildonna con l’insegnante italiano Aleksej Montelli Gali, la bimba, nata a Nikolaev nel 1914, avrebbe, negli anni a venire, seguito le orme del patrigno, apprendendo la fine arte dell’illustrazione. Divenutane collaboratrice, nei primi anni Sessanta avrebbe conosciuto la fumettista Angela Giussani, diventandone modista personale: incaricata dall’editrice di correggere le bozze del primo numero di Diabolik, fatto poco noto, Kalyssa, firmandosi “Kalissa” Giacobini, ne avrebbe disegnato la seconda uscita. Sposatasi poi con il disegnatore Federico Dante Pietro Verri, sarebbe morta nel 2010, alla veneranda età di 96 anni.

Sopra: l’acquerello “Leggenda giapponese”, con cui Nicoùline prese parte all’Esposizione della Società per le Belle Arti di Genova, nel 1921, riscuotendo il favore di pubblico e critica. Esperto conoscitore della grafica satirica, l’illustratore ucraino si rivelò fin da subito molto abile a trasferirne gli strumenti nella pittura tradizionale, sviluppando un tratto elegante ed umoristico assieme.

Dello stesso anno, fu la sua prima soddisfazione professionale in terra italiana: la prestigiosa Galleria Moretti di Genova, infatti, attratta dal suo stile raffinato, decise di acquistarne la xilografia Battaglia di samurai, commissionandogli, insieme, una serie di opere per allestire una mostra personale. Sempre nel 1921, e sempre a Genova, l’artista prese parte, con l’acquerello Leggenda giapponese, alla LXVII Esposizione della Società per le Belle Arti, riscuotendo un ottimo successo di pubblico: di lì in avanti, avrebbe partecipato regolarmente alla manifestazione fino alla fine degli anni Trenta, con nature morte, ritratti, paesaggi liguri, ma, soprattutto, apprezzati soggetti russi ed orientali. 

Fu nel 1922, che il nostro protagonista, moglie e figlia si trasferirono a Nervi, placido porticciolo alle porte del capoluogo ligure, sede, al tempo, di una consistente colonia di rifugiati politici russi: cambiato alloggio più volte, aprì infine uno studio presso la Pensione Polacca.

Fra affreschi folklorici e manifesti commerciali:
l’arte di Nicoùline sulle ali degli anni Venti

Sorvegliato dal fascismo, Nicoùline seppe tuttavia rimanere prudentemente distante dalla politica, e, proprio a Nervi, conobbe Virgilio Brocchi, fecondo autore di romanzi con il quale avrebbe dato vita ad un lungo e proficuo sodalizio artistico: nel corso degli anni, infatti, avrebbe realizzato per lui molte copertine, gettando le basi per quella fama di valente illustratore, grazie alla quale, in Italia, divenne maggiormente noto. Fra 1923 e 1925, l’artista ucraino inanellò una serie di successi che contribuirono a metterne in risalto la personalità sul piano nazionale, come la partecipazione alla I Mostra Internazionale di Arti decorative presso la Villa Reale di Monza, dove la pittura murale L’uccello di fuoco, realizzata per la Sala Russa, gli valse un Diploma con Medaglia d’oro, la partecipazione alla seconda tornata dello stesso evento, due anni dopo, come pure alle medesime edizioni dell’Esposizione Internazionale dell’Acquerello presso la Permanente di Milano, nonché alla Terza Biennale di Roma.

Sopra, a sinistra: particolare delle decorazioni parietali realizzate da Vsevolod Nicoùline per la Sala Russa della Prima Mostra Internazionale di Arti decorative di Monza (maggio-ottobre 1923), presso Villa Reale – l’apprezzato affresco “L’uccello di fuoco”. Subito sotto, un’esposizione di oggetti in legno decorato dell’artista turkmena Lilija Sluckaja (1889-1940). Sopra, al centro: il diploma di medaglia d’oro rilasciato a Nicoùline in occasione della I Mostra Internazionale di Arti decorative di Monza (1923), primo importante riconoscimento critico ottenuto dal pittore ucraino in terra italiana. Sopra, a destra: un’altra immagine della saletta russa alla I Mostra Internazionale di Arti decorative di Monza (1923) – alle pareti, decorazioni a tema folklorico di Nicoùline, sui tavoli, vasta produzione di arte applicata al legno di Lilia Sluckaja.

Sopra: particolare delle decorazioni parietali realizzate da Vsevolod Nicoùline per la Sala Russa della Prima Mostra Internazionale di Arti decorative di Monza (maggio-ottobre 1923), presso Villa Reale – l’apprezzato affresco “L’uccello di fuoco”. Subito sotto, un’esposizione di oggetti in legno decorato dell’artista turkmena Lilija Sluckaja (1889-1940). Al centro: il diploma di medaglia d’oro rilasciato a Nicoùline in occasione della I Mostra Internazionale di Arti decorative di Monza (1923), primo importante riconoscimento critico ottenuto dal pittore ucraino in terra italiana. Sotto: un’altra immagine della saletta russa alla I Mostra Internazionale di Arti decorative di Monza (1923) – alle pareti, decorazioni a tema folklorico di Nicoùline, sui tavoli, vasta produzione di arte applicata al legno di Lilia Sluckaja.

L’originalità dello stile, che combinava decorativismo ed ironia, seducendo con soggetti esotici che colpivano per dettaglio ed, assieme, leggerezza, distingueva Nicoùline da tutti gli altri artisti russi emigrati in Italia, e cominciò a valergli l’attenzione di critici e collezionisti, procurandogli, inoltre, nuove, inattese commissioni anche dal mondo commerciale: è il caso della decorazione di una serie di francobolli emessi dalle Regie Poste per il cinquantenario della morte di Alessandro Manzoni (1923), l’illustrazione di un almanacco della Società farmaceutica Bertelli, dei menù di bordo di diverse compagnie di navigazione e di alcune copertine de «Il Secolo XX» (1931), la veste iconografica di uno speciale mazzo di carte per l’Istituto Italiano d’Arti Grafiche (1932) e di non pochi manifesti pubblicitari della società cosmetica Jonasson e della multinazionale dei carburanti Shell.

Gli anni Trenta: l’illustrazione per ragazzi e
l’avventura teatrale

Nel corso degli anni Trenta, mentre assolveva con soddisfazione a sempre nuovi incarichi pubblicitari, realizzando cartelloni per l’impresa farmaceutica Carlo Erba, la dolciaria Perugina e l’azienda di fiammiferi ed imballaggi Saffa, consolidò ulteriormente la propria reputazione di illustratore, fornendo gli apparati iconografici di sette titoli della seguitissima collana di classici per ragazzi La Scala d’oro, edita dall’UTET di Torino: La leggenda di Enea (1932), Nel regno di Ariele (1933), Le leggende del Gral e Nel regno di Melpòmene (1934), I Cavalieri di Artù e Racconti straordinari, novelle di Edagardo Poe (1935), senza dimenticare Il romanzo di Candullino (1936).

Sopra: “Parsifal fanciullo incontra i cavalieri nel bosco”, splendida, ieratica tavola di copertina realizzata da Nicoùline per Le leggende del Gral di Diego Valeri, quarto capitolo della terza serie della collana UTET per l’infanzia La scala d’oro (1934).

Rivisitazioni di miti e fiabe in cui la nostalgia del paesaggio russo, grande e misterioso, emerge chiaramente, mescolata ad una sensibilità, di marca italiana, per il dato ironico e caricaturale, che anima le scene e spinge a ricercare il dettaglio: un talento speciale, che, di lì a qualche anno, gli avrebbe permesso di superare i limiti dell’editoria per sconfinare nel teatro, come quando, nel 1942, ricevette dalla Scala di Milano l’incarico ufficiale di curare costumi e bozzetti di scena per La fiera di Soročincy di Modest Musorgskij, diretta da Aleksandr Sanin.

Gli anni Quaranta: l’apogeo creativo e l’invenzione delle “mappe parlanti”

Sopra: Vsevolod Nicoùline al lavoro nel suo studio a Nervi (1933). [Marini Lodola, Artisti contemporanei: Vsevolode Nicoùline, p. 67]

Per l’estro di Nicoùline, gli anni Quaranta rappresentarono forse il periodo più fertile. Nonostante i venti di guerra, eppoi, di nuovo, la guerra vera, trovò comunque le energie per seguire nuovi progetti editoriali, ottenendo, fra l’altro, il grande onore di poter illustrare Pinocchio, nella nuova versione della milanese Italgeo del 1944, entrando così, a buon diritto, nel ristretto e prestigioso gruppo degli iconografi del celebre burattino collodiano. Nello stesso periodo, ebbe poi modo di collaborare con la scrittrice e traduttrice meneghina Mary Tibaldi Chiesa (1896-1968), che, apprezzando la particolare sensibilità di Vsevolod nel rivisitare in modo sintetico e pregnante il folklore slavo, lo convinse ad illustrare, ancora per i tipi di Italgeo, L’uccello di fuoco e altre fiabe popolari russe (1945).

Così, sotto la regia del geografo ed alpinista bresciano Gualtiero Laeng, nel 1941, Vsevolod, da moderno “cosmographus”, come amava definirsi, mise a punto 19 fantastiche “mappe parlanti” delle regioni italiane, che, bordate in oro ed argento, furono pubblicate da De Agostini in un lussuoso volume a copertina rigida intitolato Imago Italiae: paesaggio, opere, vita: limitata ad una tiratura di 999 esemplari, l’elegantissima prima edizione è oggi un tesoro di assoluto valore per i collezionisti.

Sopra: La splendida, prima edizione di Imago Italiae di Gualtiero Laeng (De Agostini, Milano 1941), raccolta di 19 “mappe parlanti” di Nicoùline dedicate alle regioni italiane. Della tiratura originaria di 999 pezzi, 299, rilegati in similpelle a fregi dorati invece che in tela – come il magnifico esemplare in foto -,  andarono a costituire una sorta di “microedizione” di lusso dell’impresa editoriale, denominata infatti “Edizione Principe”.

Fra torri, santi e montagne sbuffanti:
l’Italia fantastica di Vsevolod Nicoùline

Assieme alle illustrazioni per l’infanzia, le “mappe geo-pittoriche” di Nicoùline rappresentano sicuramente i risultati oggi più attraenti dell’opera del pittore slavo, in grado di anticipare un genere, che, dopo di lui, avrebbe conosciuto grande diffusione e fortuna. Manifestando una rara capacità di cogliere l’essenza dei diversi territori che compongono la nostra penisola, l’illustratore ucraino riduce le loro manifestazioni economiche e culturali a simbolo grafico pregnante, rivelando tutto il suo gusto per la caricatura e tutto l’amore che nutriva verso il Paese che l’aveva accolto.

E così, mentre figurini slanciatissimi si tuffano sugli sci fra Bardonecchia e Sestriere, due cavatori dalle braccia possenti, armati di sega, fanno a fette una montagna sopra il cartiglio di Carrara, e mentre un cacciatore maldestro, nelle paludi di Comacchio, salta fuori da una botte e spara alle anatre, colpendo però il cappello di un povero pescatore di anguille, un gentiluomo in completo in bianco, appoggiato al suo bastone, alza il bicchiere per un brindisi nei pressi di Marsala. Affianco alle scenette che vivificano il paesaggio, è tutto un fiorire di monumenti, frutti, montagne sbuffanti, e, al largo nel mare, impreziosiscono le tavole fantastiche triremi, caravelle, pesci guizzanti, rose dei venti ed eleganti cartigli con allegorie delle arti regionali.

Tale furono il successo e l’universale ammirazione per il lavoro di Nicoùline, che, nel 1941, le sue “mappe parlanti” finirono protagoniste di un’esposizione personale nel ridotto del Teatro Carlo Felice di Genova: ristampate più volte, da Italgeo, fino a tutti gli anni Sessanta, furono tradotte in varie lingue e riprodotte su cartoline, calendari, manifesti e perfino opuscoli pubblicitari. Vista la riuscita dell’operazione, nel secondo dopoguerra, l’editore milanese convinse Vsevolod ad allargare il progetto a varie altre zone d’Europa e del mondo, per la realizzazione di carte turistiche promozionali: vi fu anche l’idea di proporre, ad un editore americano, un atlante analogo dedicato agli Stati Uniti, ma il progetto non ebbe purtroppo seguito.

Sopra: cartolina-ritratto di Vsevolod Nicoùline risalente ai primissimi anni Quaranta. In didascalia, l’illustratore ucraino era ricordato come «autore delle “tavole” di Imago Italiae, il nuovo “atlante” del Prof. Giovanni De Agostini».

Il secondo dopoguerra: l’incontro con Giannina Lavarello e la sfida dell’affresco

Sopra: Vsevolod Nicoùline e Giannina Lavarello al lavoro, in una simpatica vignetta riportata sul foglio di risguardo di una pubblicazione a tema mitologico illustrata dalla coppia negli anni ’50. [Eugenio Treves, Dei ed eroi. Mitologia greca e romana, Giuseppe Principato, Milano – Messina 1959, p. 2]

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, sul finire degli anni Quaranta, il nostro protagonista interruppe il legame con Aida Bossalini e si trasferì a Milano, città dalla quale non si sarebbe più allontanato. Nel capoluogo lombardo, sempre in cerca di nuovi stimoli, conobbe la giovane artista genovese Giannina Lavarello, con la quale iniziò un proficuo rapporto professionale, che lo spinse anche a cimentarsi con l’affresco: è del 1950, infatti, un loro lavoro a quattro mani, su commissione ILVA, per una grande “mappa parlante” di 80 m2 su una parete della centrale elettrica di Paraviso-Pisogne, nel Bresciano, raffigurante gli impianti di proprietà del gruppo sul lago d’Iseo. Lo stesso anno, i due convolarono a nozze.

Delle ultime stagioni dell’artista ucraino, oltre a nuove pubblicazioni con la Tibaldi Chiesa, come lo splendido Le mille e una notte, uscito per Hoepli nel 1952, si ricordano alcune serie di cartoline illustrate per gli enti benefici Repubblica dei ragazzi e Casa Mamma Domenica (fra le quali: Carrozze di tutto il mondo, Cavalieri d’ogni terra, Culle d’ogni paese, Folclore, I navigatori, La caccia, L’ombrello nella storia, Pirati e corsari, Ritmi e suoni, Storia della nave, Uomini di mare e Usanze nuziali), oltre ad alcune collaborazioni con editori stranieri, com’è il caso, ormai negli anni Sessanta, dello svedese Bokförlaget Niloé, per il quale curò le illustrazioni delle riedizioni in svedese di alcuni classici della letteratura russa.

Gli ultimi anni di un genio fecondissimo,
un ucraino innamorato dell’Italia

Continuando fino all’ultimo ad intessere rapporti con colleghi sparsi per il mondo, e a frequentare i molti amici della comunità di esuli russi a Milano, Vsevolod Petrovič Nikulin si spense nel capoluogo lombardo il 18 luglio 1968, all’età di 77 anni. Sopravvissuto a due guerre mondiali e ad una guerra civile, scampato miracolosamente a rivoluzioni e fucilazioni, da ucraino trapiantato in Liguria si innamorò dell’Italia e degli italiani, riuscendo, senza mai rinnegare il portato decorativo ed introspettivo della propria terra d’origine, a coglierne la vitalità come nessun altro illustratore italiano del suo tempo seppe fare. Dette le immagini a più di 100 fortunatissimi libri per l’infanzia, e, su quelle immagini, impararono a leggere e sognare generazioni di bambine e bambini d’Italia. Si cimentò con la pubblicità, la ceramica, il costume e la scenografia, e si rivelò pure un ottimo cartografo: a tutto, si curò sempre di aggiungere un pizzico di incontenibile ironia. Per sua espressa volontà, fu tumulato nel cimitero nuovo di Genova-Nervi.

Sopra: Vsevolod Nikulin al lavoro nel suo studio di Milano, in un intenso scatto degli anni Sessanta. 

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